Messer Manuelin-Una Leggenda nella storia
“Intra Siestri e Chiaveri s’adima una fiumana bella, e del suo nome
lo titol del mio sangue fa sua cima.”(Divina Commedia, Purgatorio, XIX, v. 100-102)
— Anna Wong, Volontario
Come nelle migliori fiabe….C’era una volta…Ma questa volta, iniziamo invece con i luoghi dove si svolge la nostra narrazione….
Siamo negli anni che vanno dal 1309 al 1313/1314 , presumibilmente quando Dante Alighieri scrisse il Purgatorio della Divina Commedia. In una terzina della Divina Commedia, Dante menziona un fiume che si trova tra due città liguri: Siestri e Chiaveri.
Chi parla è Ottobuono dei Fieschi, conti di Lavagna, poi Papa Adriano V.
Oggi, non abbiamo dubbi: la fiumana è il torrente Lavagna che nell’ultimo tratto si chiama Entella mentre Chiaveri è l’attuale Chiavari. Siestri è probabilmente l’attuale Sestri Levante. Tra Chiavari e Sestri Levante si trova Lavagna.
Questa bellissima zona della Liguria che oggi si chiama Golfo del Tigullio.
Facciamo un salto temporale in avanti. Correva l’anno domini 1535 o meglio correvano gli anni che intercorrono fra il 1535 e il 1543.
Teatro delle vicende che prendiamo a raccontare è soprattutto la Valle Sturla, che si sviluppa alle spalle del Golfo del Tigullio. La Valle Sturla, nominalmente parte della Repubblica di Genova, alla prova dei fatti, è il Regno del “Crovo”, al secolo Vincenzo Zenoglio. Pare di intuire il perché di quel soprannome,”o crœvo”, il Corvo: il ciuffo nerissimo, che spunta da sotto la berretta; la barba incolta, che incornicia un volto smunto trafitto da due occhi color pece, piccoli come fessure. I capitani di Chiavari, nel corso del tempo, manifestano la loro frustrazione nella corrispondenza con il governo centrale. Mentre Genova vive la ristrutturazione urbanistica voluta dal Doria, che precede la nascita dei “Rolli”, nella Valle Sturla qui si costruiscono “caminate”, piccole “fortezze” banditesche per il controllo dei valichi appenninici. Questa Valle, era un luogo ideale per i banditi, con le sue pareti spioventi da cui si direbbe facile osservare i movimenti a valle senza essere visti e ancor più facile organizzare una difesa; era crocevia di mulattieri e mercanti, che lungo i sentieri potevano venire depredati o taglieggiati; pur appartenendo alla Serenissima Repubblica di Genova, infine, era in buona parte una sorta di feudo fliscano, una “zona grigia” nella quale il bando della Repubblica non aveva effetti immediati, e in cui sipoteva godere persino di una certa protezione.
correvano gli anni che intercorrono fra il 1535 e il 1543.
La Valle Sturla è il Regno del “Crovo”, al secolo Vincenzo Zenoglio. Pare di intuire il perché di quel soprannome,”o crœvo”, il Corvo: il ciuffo nerissimo, che spunta da sotto la berretta; la barba incolta, che incornicia un volto smunto trafitto da due occhi color pece, piccoli come fessure.
Ma partiamo dall’inizio….È il 1535.
Il sistema di governo delle valli alle spalle di Chiavari è caratterizzato da volubili alleanze familiari e rivalità che spesso sfociano in saccheggi e conflitti armati. Onore e vendetta sono i codici che regolano i rapporti fra queste congreghe di uomini, di cui le famiglie più potenti, come i Ravaschieri, i Fieschi e i Rivarola, si servono ampiamente per i propri scopi.
I “banditi “, uomini irregolari, votati all’azione, che si mettono , senza investitura ufficiale al servizio della “politica”. Avere una banda fissa ben armata era un ottimo requisito per rientrare in un rapporto di protezione e simpatia con le alte sfere quali, al tempo, Gian Luca Fieschi e Manfredo Ravaschieri dei Conti di Lavagna, signore di Santa Maria del Taro. Il prezzo di questa protezione, tutto sommato, poteva
essere ragionevole: una percentuale sulle ruberie ai mulattieri che transitavano fra i passi appenninici, in cambio della disponibilità a fare un po’ di lavoro sporco, alla bisogna. Ma sarebbe forse ingiusto pensare che questi rapporti si basassero esclusivamente sull’interesse: i vincoli di fedeltà – soprattutto verso i Conti di Lavagna – erano presi sul serio da questi uomini rudi e spietati.
Secondo le fonti, è proprio nell’arco di quest’anno, il 1535, che il Crovo diventa un capobanda. A distanza di due anni, nel 1537, al servizio dei Bacigalupi, insieme ai suoi luogotenenti, il Belecha, il Carcagno e ad altri 40 uomini , si impadronisce di Borgonovo, la piccola località oggi racchiusa nel Comune di Mezzanego, che diventerà la sua base.
Dal 1537 compiamo un salto di 3 anni….È il 27 dicembre del 1540:
Chiavari viene attaccata dai banditi, guidati dal “Crovo” , in un regolameto di conti tra famiglie nobili. Il loro obiettivo è un singolo uomo Ambrogio Rivarola che quel giorno si salverà la vita scappando. La sua dimora sarà depredata di oro, argento e quadri, ma questi ultimi – narrano le cronache – verranno restituiti in segno di cavalleria. Erano cimeli di famiglia che ai banditi non interessavano. Assassinare un uomo era un conto, in un tempo in cui la vita era una moneta fra le altre, e nemmeno la più stimata.
Sfregiare la memoria di una famiglia, ben altra cosa. Ma anche per il “Crovo” arriverà il canto del Cigno.
E arriverà perché, come tutti gli uomini di potere, anche lui sopravvaluterà il proprio.
È il 26 maggio 1543.
Il Duca di Firenze Cosimo de’ Medici, recandosi a Genova con la sua corte, si avventura lungo il famigerato Passo di Cento Croci. I banditi interrompono il bivacco per “omaggiarlo”. Lui è certo che gli
uffici diplomatici abbiano fatto il loro corso, e che passerà indisturbato oltre la “dogana” dei briganti.
Invece il Crovo, il Calcagno e altri banditi attaccano la retroguardia e rapinano la comitiva. Lo scandalo è di proporzioni bibliche. Il “Crovo” non è più un semplice problema interno alla Repubblica di Genova. È un affare internazionale. Genova, da un lato, non può più sottrarsi alla “prova di forza” che non è mai riuscita a imbastire; i Fieschi, dall’altro, devono rendere conto ai Medici della protezione concessa a chi li ha oltraggiati. Il dado è tratto. Agli assassini del “Crovo” viene promessa la remissione del bando.
Siamo a Rezzoaglio, è una notte di cielo terso, a cavallo fra la primavera e l’estate del 1543. Il Crovo, con i suoi cinque uomini piu fidati, sono all’esterno di una “Caminata”. Seduti su alcune pietre,
bevo e discutono i loro affari. Questione di secondi. Alcuni “Bargelli” genovesi, coadiuvati da “birri” e “famegli”, si avventano su di loro, i banditi mettono mano alle partigiane e fendono veloci colpi nell’aria.
Sopraffatte come sempre, le guardie battono in ritirata. A monte ora, voci amiche di fuorilegge come loro.
Il “Crovo” riconosce subito alcuni dei suoi antichi compagni di strada, banditi che hanno base a S. Stefano d’Aveto e che godono, con ogni probabilità, della protezione del Castellano. “Sono venuti in
nostro soccorso appena udito l’eco dello scontro”, pensa mentre abbassa la guardia. Pochi istanti. Gli uomini del Corvo vengono sopraffatti ed uccisi all’istante. Il Crovo arretra, ferisce un assalitore, prova a guadagnare spazio, ma viene accerchiato. Capisce. Guarda negli occhi i traditori, poi quei suoi piccoli occhi color pece, piccoli come fessure, si chiudono, in attesa dell’istante fatale.
Durante il trasporto a Chiavari dei corpi, un giovane uomo, che avrà 13 forse 14 anni, ritto in piedi, seminascosto da un castagno, osserva in silenzio la carovana di cadaveri, un chiaro ammonimento a
quelle genti dall’animo indomito e ribelle. I suoi occhi: color pece, piccoli come fessure.
Compiamo ora un salto di 430 anni….
Siamo ora nel lontano1973….nella località Isola di Borgonovo situata, a 2 chilometri da Borgonovo, lungo la strada che sale al Passo del Bocco, alcuni fanciulli erano soliti radunarsi intorno al fuoco nella casa di una solitaria vecchina chiamata Genia, che trovava nel calore della compagnia di quei bambini un conforto alla solitudine che oramai da tempo viveva. Genia li ricambiava con merende ed avvincenti racconti. La vecchina amava narrare storie antiche, tramandate a voce dai tempi dei tempi, che affascinavano ed incantavano i giovani ascoltatori. Specie nei lunghi pomeriggi freddi ed uggiosi, seduti intorno al fuoco crepitante, acceso per terra al centro di una cucina d’altri tempi, i bimbi si sentivano trasportati in mondi fantastici e lontani, ed erano sempre piu’ desiderosi di conoscere i segreti ed i misteri
che Genia custodiva. Tanti i racconti che venivano narrati e che appassionavano quei bambini, ma uno di loro, in particolare, ne restava letteralmente ammaliato. Forse per quel motivo o forse per una sorta di
empatia, o per un’altra motivazione a lui sconosciuta, la vecchina aveva una predilezione per quel bambino. Tante volte lo tratteneva dopo che gli altri se ne erano andati, oppure lo invitava a farle compagnia da solo…..
Spesso gli preparava i “testetti” (tipiche focaccette liguri cotte in cocci chiamati testi, dopo averle rese incandescenti nel fuoco, e una volta pronte condite o con olio e parmigiano o col pesto ) e mentre li mangiava, seduti vicino al fuoco era sovente parlargli di una storia che lo affascinava
non poco.
Genia aveva detto al bambino che la storia di cui gli narrava era una storia antica che si tramandava a voce da secoli e secoli e che doveva essere conosciuta solo da chi avesse il compito di narrare ai posteri. Il fanciullo non si capacitava del perché avesse scelto proprio lui ma era troppo incuriosito per
continuare a chiederselo. Nel racconto si parlava di un bandito che pare spadroneggiasse proprio in quella Valle e non solo. Solamente dopo avergli narrato molti racconti legati a questa storia, la vecchina, in una serata fredda d’inverno, al suono dello scoppiettar del fuoco, alla luce fiocca di quell’unica
lampadina, mentre il cielo tuonava, la pioggia scrosciava ed il vento soffiava con un’ intensità mai vista, gli rivelò che la sua casa era stata dimora del bandito di cui tanto le aveva raccontato. Il suo nome era per gli abitanti della Valle Sturla ”o crœvo” ed accarezzandogli il viso le disse che aveva proprio il taglio dei suoi occhi…
La vecchina si raccomandò al bambino di non narrare a nessuno questa storia
La vecchina si raccomandò al bambino di non narrare a nessuno questa storia sino a che non fosse divenuto adulto e fosse per mano del destino questa casa giunta a lui. Si era inoltre raccomandata, quando fosse venuto quel giorno, di conservarla affinché si potesse continuare a goderne l’intensa energia e l’aria di mistero che da sempre l’avvolgeva e che si respirava vivendo tra le sue mura. Il
bambino negli anni aveva quasi perso il ricordo di quanto gli fu detto … aveva al tempo pensato si trattasse della stravaganze di una solitaria vecchietta curvata dal trascorrere del tempo….
Questo sino a quando, nel 2010, in una notte di tempesta, dove il cielo era illuminato a tratti della luce e dal fragore dei tuoni, mentre la pioggia scrosciava ininterrottamente ed il vento ululava tra gli alberi, il bambino, oramai fattosi uomo, durante un sonno a dir poco agitato, fece un sogno di cui i tratti furono, più che di un sogno, quelli di un incubo.
Sognò la Vecchina, oramai deceduta, seduta nella vecchia dimora assieme a lui bambino attorno al fuoco; un fuoco dalle alte e rosse fiamme di cui percepiva nettamente l’intenso calore sul viso. Tra queste grandi fiamme si intravvedeva il viso della vecchia, seduta davanti a lui, che pareva aver occhi magnetici ; occhi che emanavano un’energia sconosciuta come a volerlo risucchiare. Solo alcune parole riusciva a percepire tra lo scoppiettio del fuoco… “ricorda”…”o croevo”…”questa dimora deve giungere a te”. Sudava, al calore anomalo del fuoco, e contemporaneamente aveva brividi alla schiena sino a quando improvvisamente, dopo un tuono,dal fragore intensissimo, un colpo di vento, di una intensità inaudita, spalancò la finestra e le fiamme sembrarono avvolgere la vecchina che invece si sollevò trasportata via da quello stesso vento.
Improvvisamente sentì come se un’onda d’acqua lo investisse annegandolo… Sentendosi soffocare, da sdraiato sollevò di un botto le spalle tentando di respirare. Si ritrovò seduto sul letto con la bocca aperta e secca; cosa era accaduto? Era tutto cosi dannatamente reale.
Ripreso fiato, corse in cucina a bere un bicchiere d’acqua, e si affacciò alla finestra per riprendere contatto con la realtà. Davanti a lui un grande cartello “Vendesi” apposto sull’antica dimora che sorgeva proprio d’ innanzi alla sua casa. Sentì un brivido scorrergli lungo la schiena…..il sogno ed ora il cartello.
D’un tratto il racconto della vecchina gli ritornò alla mente come lo avesse appena ascoltato, parola dopo parola ma lo tenne per se’. Erano solo sciocchezze; ma mosso da un’irresistibile forza interiore acquistò comunque la dimora.
Dopo poco più di 10 anni, e precisamente nel 2022 venne a conoscenza, tramite una donna affine a lui,
conosciuta in un modo di quelli che si usa dire dettati dal destino, che in quella zona fosse proprio
vissuto nel ‘500 un Bandito dal nome Il Crovo, in dialetto ”o crœvo”, che come scrive Sandro Sbarbaro nel suo libro: ”Era costui tal Vincenzo Zenoglio, conosciuto con l’appellativo di Vincenzo del Fossato, ma durante la sua lunga latitanza assunse il soprannome di Crovo. Pare fosse originario di Borgonovo o di una villa poco distante. “. Le sue vicende sono state narrate inizialmente da Giuseppe Pessagno , illustre studioso dei primi del
Novecento, un antesignano sul fenomeno del banditismo. A lui si sono rifatti successivamente vari autori (tra cui il già sopra citato Sarbaro) e la leggenda del Crovo, opportunamente amplificata grazie a costoro, e non sola, è giunta sino a noi.
Si convinse cosi che i racconti della Genia non erano, come aveva pensato, sciocchezze e
vaneggiamenti di una vecchia ma il tramandare di una leggenda antica con fondamenti nella storia.
Anche la misteriosa energia di cui Genia diceva impregnata la sua dimora aveva un fondamento: la casa si narra infatti che sorgendo nella fascia di terra compresa fra lo Sturla e l’Aveto dove si è autorizzati a crede scorra una “linfa” spirituale alla quale attingere copiosamente, sia che si sia mossi da una fede religiosa sia che il proprio interesse abbia tratti più esoterici (etimologicamente, “interiori”).
Nella tradizione cinese si parla dell’”invisibile mezzo”, cioè del luogo dell’equilibrio perfetto, del punto dove si riflette direttamente l’attività del “Cielo”. Questo “centro”, tuttavia, non va situato: è dentro di sé che si perviene al “Centro”.
Nel centro si dimora nella Pace, sottratti alle vicissitudini del mondo esteriore.
Nel centro si dimora nella Pace, sottratti alle vicissitudini del mondo esteriore.
Quale che sia la propria visione del mondo, se ne coltiviamo una è per poter raggiungere il nostro Centro. Là dove – disse un famoso filosofo cinese – “non si entra più in conflitto con alcun essere”. Là dove si è “insediati nell’infinito”.
Linea di San Michele
La casa si trova infatti a poca distanza in linea d’aria dall’Abbazia di Borzone, che pare sorga esattamente sulla linea di San Michele, il segmento che congiunge sette santuari dedicati all’Arcangelo.
Le due estremità si trovano in Irlanda (Skelling Michael) e in Israele (Monte Carmelo). Secondo la tradizione si tratterebbe del colpo di spada con cui Michele mandò negli inferi il diavolo. In Italia i santuari presenti lungo questa linea sono due: la Sacra di San Michele in Val di Susa, che ispirò Umberto Eco per “Il Nome della Rosa, e il Santuario di Monte Sant’Angelo in Puglia. Collegando i due siti fra loro si può
constatare come la linea sembri intersecare la valle.
Linea che, oltre ad indicare simbolicamente la rettitudine del credente in cammino verso Dio, coincide esattamente con l’allineamento del sole al tramonto nel solstizio d’estate:
il giorno più lungo, la notte più breve, quando ci si attinge a entrare nel buio, in quell’oscurità che ha la sua controparte simbolica nell’oltretomba e nella prima fase dell’iniziazione, dove si deve discendere agli inferi per morire a se stessi e rinascere a nuova vita.
Senza dubbio quindi, alla luce di tutto questo una dimora dal livello energetico importante quella di Genia.
Oggi…..Il fanciullo del 1973 è da tempo oramai un uomo.
Il nome di questo uomo è Emanuele….precisamente Emanuele Chiesa.
Racconti, riferimenti storici e citazioni tratti da :
- La vita a Chiavari nel Cinquecento. Le bande di Val di Sturla, “Gazzetta di Genova – Rassegna
dell’attività ligure”, LXXXIV (1916)- del Pessagno - Piero Scanziani, Entronauti, 2022 (prima ed. 1969), Utopia Editore
- Il Crovo e i Zenogi tra “lighe” e potere – Banditi e parentele in Chiavari e nel suo entroterra nel
Cinquecento- di Sandro Sbarbaro 2008/2014) - http://www.abbaziaborzone.it/abbazia-santandrea/cenni-storici/
- https://www.zenazone.it/blog/abbazia_borzone
- https://www.levantenews.it/2022/12/21/nel-regno-del-corvo-il-romanzo-criminale-del-tigullio